GOGOL AL FABBRI, E QUANTA CORRUZIONE!
26 Febbraio, 2015
Categoria: Cultura ed Eventi
Il 17 febbraio 2015 è andato in scena al Teatro Fabbri “L’ispettore generale”. Scritto da Gogol nel 1836, è rivisitato in chiave moderna dal regista Damiano Michieletto e da una compagnia di attori pieni di talento.
Corruzione, degrado, depravazione, amoralità, avidità. Non ci sono altre regole che queste nella città russa raccontata da Gogol. La nuova versione di Michieletto ha trasportato quella realtà apparentemente lontana negli anni ’70. E da lì ci si sente vicini eccome ai suoi punti neri, oscuri, sporchi che dominano nella vita dei personaggi.
Tappezzeria ormai disfatta, macchie appiccicose di alcol percepibili ovunque, sporco e disinteresse ovunque… in una condizione di palese noncuranza, l’ipotetico arrivo di un ispettore dal ministero sconvolge tutti, intimoriti dalle accuse che potrebbe fare. Accuse più che vere, che tutti sanno di meritare, eppure che sono temute dato che pericolose per gli interessi di tutti.
È da lì che inizia la falsità. Prima sotto forma di vestiti nuovi e apparenze eleganti dei personaggi, e poi dalle loro parole, che il pubblico riconosce false e corrotte perché conosce la verità. Non è vero che il sindaco fa di tutto per la città e per gli ospiti. Non è vero che gli ospedali curano i pazienti, nemmeno che le scuole insegnano nel modo corretto. Tutto è nascosto all’ispettore, cioè: al falso ispettore. Lui non è altro che un povero, senza soldi, che, tornando a casa e imbattutosi in tale accoglienza, non resiste alla tentazione di sfruttarla. Il falso ispettore si fa attore di uno spettacolo all’interno della farsa degli altri personaggi. E il risultato è un equivoco gigantesco e, come sempre, amorale.
L’amoralità diventa palese nel finale. Il sindaco non rimpiange nemmeno un secondo di aver dato in moglie all’ispettore la propria figlia, assicurando alla ragazza un futuro infelice e non voluto, con il solo scopo egoistico di farsi ricco e potente. La ragazza sembra l’unico esempio di giustizia e valore dello spettacolo. Opposta a lei, sua madre (moglie del sindaco) appare una vera sgualdrina, una scalatrice sociale pronta a tutto per arricchirsi. La battaglia tra madre e figlia sta nelle retrovie, e si gioca o per riottenere il potere perso dalla vecchiaia o affermare la propria indipendenza. Due donne, due mondi, manifestazioni dello scontro chiave dello spettacolo tra arricchimento sporco e amorale, e quotidianità giusta e tranquilla.
Sempre prevale il primo mondo. Sempre, tranne nel finale, quando viene rivelata l’identità del falso ispettore e l’inganno che lui ha tramato per loro. La scena si blocca. La festa in corso si paralizza: diventa la fotografia della sconfitta. Persino la scritta della maglia del sindaco, “No pain, no gain”, perde la sua connotazione vittoriosa, e resta il manifesto di miseria e ironia.
È in quel momento che è chiarissima la critica alla società. “L’ispettore generale” non ci descrive la società e basta, ma si addentra dietro ogni aspetto e ne dà un giudizio: positivo o negativo, il primo ai vincitori, il secondo ai vinti.
L’opera di Gogol è indiscutibilmente un capolavoro. Tuttavia, questa volta l’ammirazione va alla compagnia che ha riportato sulla scena la modernità dello spettacolo. Con l’adattamento del regista Damiano Michieletto si può apprezzare al meglio uno spettacolo già bello si suo. Valutazione? Buona, più che buona!!
Arianna B.