James M. Cain, Mildred Pierce, Adelphi, 12.00 €
Non barate. Stavolta vale davvero la pena leggere prima il libro, poi guardare il film. Anche perché, a conti fatti, ci vuole meno tempo a leggersi d'un fiato questo Mildred Pierce meritevolmente ristampato da Adelphi, che a guardare le otto puntate della recente mini-serie HBO con Kate Winslet nei panni della protagonista.
James Cain, l'autore di storie nere entrate nell'immaginario collettivo, come Il postino suona sempre due volte, nel 1941 decide di raccontare la storia di una donna che del noir convenzionale non ha molto: niente armi, cadaveri, sbirri. Solo una forte tensione psicologica, e un ritratto femminile meraviglioso (non siamo certo in epoche di femminismo, ma qui il motore sono le donne, e gli uomini servono solo a fare casino). Però ci sono i soldi, tanti soldi. Puliti, legalissimi, sudati uno a uno e citati sempre sotto forma di bilancio. Questa è la storia di una donna onesta, travolta dalla propria buona fede.
Mildred, casalinga californiana con mano da cuoca benedetta da Dio, vede il suo matrimonio con Bert risolversi malamente, per l'incapacità di lui di rimboccarsi le maniche e riprendersi dal fallimento della sua società immobiliare, che tanti agi aveva procurato alla famiglia Pierce. Tempi di Depressione, i soldi mancano, il lavoro pure (suona familiare?), ma siamo in California e, Santi Numi!, il New Deal è alle porte, perciò Mildred decide che è ora di risollevarsi e mettere a frutto i talenti che possiede per non rischiare di finire in mezzo a una strada. Deve ingoiarne di rospi, e combattere contro l'orgoglio: il proprio, piegato alla fine dal bisogno, ma soprattutto quello dell'adorata figlia Veda, una undicenne gradevole come la carta vetrata, con sogni di alta società e di una vita all'altezza del proprio temperamento viziato e snob. In Veda, Mildred si rispecchia al contrario, in un gioco di irresistibile attrazione dell'opposto, e da Veda – scaltra, vogliosa, un piccolo Satana in gonnella – è disposta a subire ogni angheria, e a Veda è disposta a dare tutto, assecondandone ogni capriccio. Ma Mildred ha la stoffa dura di chi mette ogni fibra di sé stessa alla ricerca di un riscatto, e, tra uomini sbagliati e conti che devono tornare, passa da semplice cameriera, a pasticcera per conto terzi, poi proprietaria di uno, due, tre, quattro ristoranti nella zona di Los Angeles. Il problema di Mildred sono gli affetti: uomini e donne sempre pronti ad aiutare questa laboriosa ape (non priva di avvenenza, va detto), ma spesso di prodighi di consigli sbagliati o decisamente interessati.
È uno dei cliché più inesauribili e avvincenti della narrativa americana (e del cinema) la storia di riscatto, e scalata sociale ottenuta con duro lavoro, e una certa dose di fortuna; tuttavia, questo Mildred Pierce riserva delle sorprese rispetto al solito palinsesto. Vi si riflette – specialmente nello sviluppo del controverso tema del rapporto Mildred-Veda – sul senso del riscatto stesso: è vero riscatto quello di Mildred, armata di qualche talento e molta costanza e per questo costretta a risalire passo passo, giorno dopo giorno, contando ogni dollaro, o non sono forse più rilevanti gli sforzi di Veda, bella, talentuosa, capricciosa, e cosciente dei propri desideri profondi, di concentrarsi sulla vita dorata di arte e notorietà che vorrebbe condurre, nel frattempo vivendo del sudore della madre? Sembra una specie di variazione sul tema della dialettica servo-padrone: Mildred esce da uno stato di indigenza (servitù) per entrare in una dimensione fatta di clienti, dipendenti, fornitori, banche, orari impossibili, volubilità del mercato – a un certo punto ci si mette pure la revoca del probizionismo a togliere il sonno alla povera Mildred! Forse è servitù pure questa? Anche perché, a quanto pare, la qualità maggiore che spiega il conseguimento dei propri desideri, in questo romanzo sembra essere la velocità di pensiero, trovare la soluzione più vantaggiosa molto prima del prossimo. E Veda è una saetta...
Marco Bini