My Life in Australia - Francesca Tondi...una vignolese a Mooloolaba !
HOME SWEET HOME?
La nostra casa è quella che in un gruppo di amici si può paragonare alla persona “simpatica”. In poche parole è la casa più brutta del quartiere, ma è di sicuro quella con più personalità e a suo favore posso dire che si trova a competere con hotel e resorts dove la gente non vive, ci va in vacanza. Concorrenza sleale.
E’ un blocco squadrato senza fantasia, mattoni fuori e mattoni dentro, marrone che stona tra il bianco accecante dei palazzi intorno, balconi di ringhiera e pochi modi di farsi notare se non nella sua inadeguatezza. L’unico vezzo è il grande albero di frangipane che copre in parte la sua facciata ovest e profuma l’aria di dolciastro con i suoi fiori.
E’ disposta su tre livelli, 12 appartamenti in tutto. Noi siamo all’ultimo piano. Due balconi affacciati uno sulla strada e l’altro sul giardino, come se la vista mare ci facesse schifo. Tanta luce in ogni stanza e una moquette che vorrei tanto sradicare a mano pur di liberarmene. Le tende sono azzurre e gialle, i mobili raccattati qua e là ma incredibilmente tutti di legno e coordinati tra loro. Su ogni superficie libera, delle conchiglie o dei fiori. E’ una casa di mare. Così di mare che nell’ingresso sembra esserci una piccola spiaggia privata tanta è la sabbia che entra da quella porta. Così di mare che se lasci qualcosa sul tavolo in balcone il mattino dopo è ricoperto di sale.
Quando l’ho vista la prima volta, appena arrivata dall’Italia, era notte fonda e Kelvin dopo aver parcheggiato, ha scaricato la mia valigia dal baule e con la voce un po’ nervosa mi ha chiesto: “Allora? Come ti sembra?” Eravamo in cortile e facevamo scorrere lo sguardo sui mattoni e le poche pretese architettoniche. Lui in cerca di un mio consenso, io curiosa di conoscere il posto in cui avrei abitato per chissà quanto tempo. “Lo so…non è un granchè, e anche dentro non ti aspettare chissà cosa…ma è vicina al mare e l’affitto è buo…” Io ho solo sorriso perché già l’adoravo.
La strada dove viviamo è senza uscita, è collegata al lungo mare da un passaggio pedonale, e a parte le auto dei turisti, gli unici mezzi a quattro ruote che ci circolano sono gli skateboard.
L’unico edificio di Burnett street oltre alla “bruttina” che non sia un albergo o un resort , e unica attività commerciale della strada, è un prefabbricato colorato che vende bonghi. Bonghi, davvero. Tamburi. C’è la crisi e il negozio di bonghi va alla grande, che buffa la vita. E’ gestito da un uomo senza età con così tanti capelli che se li deve arrotolare sulla nuca e farci fare parecchi giri intorno ,a mo’ di turbante fatto di dreadlocks. Ogni giorno chiude ad un’ora diversa, e credo gestisca la sua vita e il suo business in modo molto spontaneo, a ritmo col sole. Prima di sbarrare il negozio si sbizzarrisce in un’esibizione e a volte la gente che passa di lì viene invitata a suonare con lui. E’ un’esplosione ritmica di felicità. Io se sono a casa, magari a godermi gli ultimi raggi dal balcone, lo guardo dall’alto e applaudo. La sua ragazza, anche lei senza età, è molto socievole e adora parlare del tempo atmosferico. No, non in stile anglosassone, non è un modo banale di riempire buchi di parole. Ogni volta che passo, spesso per andare a lavorare e quindi abbastanza di fretta, lei mi saluta cordiale e mi fa notare quello che sta succedendo attorno; punta il dito verso una nuvola che le sembra abbia una forma buffa, si esalta a sentire i tuoni che evidentemente le ricordano le percussioni del loro negozio, gioisce per il sole in faccia. Bizzarro? Forse, ma fa sempre piacere incontrare persone felici. Usa sempre termini grandi ,pieni, potenti, mi chiede: “isn’t it amazing?isn’t it wonderful?” e parla della pioggia, o del vento. Io , che vorrei essere un po’ più come lei ,mi fermo e cerco di assorbire la sua positività, poi però guardo l’orologio e mi tocca scappare al ristorante.
Sono stata fortunata, nemmeno una settimana e già avevo trovato lavoro in un locale sul lungomare, due minuti a piedi di tragitto da casa. La stagione estiva va così. Gente da ogni parte del mondo, turisti che vengono a mangiare e lasciano mance, e camerieri internazionali con il visto che dura un anno che con quelle mance si pagano l’affitto. O la birra.
Sono appena tornata da un turno di sei ore e mezzo, sono stanca ma soddisfatta. Sono riuscita a non combinare disastri; niente bicchieri rotti, nessun errore nelle ordinazioni (qui si fa tutto a computer, basta un tasto sbagliato e alla cucina arriva l’ordine di una fiorentina da un chilo anziché di una bruschetta), i clienti erano simpatici e mi chiamavano per nome (leggendolo dalla targhetta).
Sono da sola in casa. La gente è fuori nei locali già strapieni o per strada in cerca di una meta per la serata.
Mi sono appena fatta la doccia e ho i capelli bagnati, mi sono preparata una cena “alla bastarda” che consiste in un panino pieno di tutto, due kiwi con lo zucchero e una ciambella, e ho portato tutto in balcone assieme ad una bottiglia di coca cola. Da qui mangio e guardo gli ultimi ritardatari arrivare dal lungomare, passare davanti a casa nostra e dirigersi verso i locali del centro o della zona dei canali per dar via al loro sabato sera. Non uno sguardo verso la nostra casa. E’ avvolta nel buio. Anche il Pacifico non si vede ma vuole far ricordare la sua esistenza; il suono delle sue onde si mescola alla musica, ai vetri infranti, alle urla, alle risate e alle sirene della polizia. Ogni tanto passano pipistrelli così grandi da poter sembrare tranquillamente Batman in persona. L’aria si è finalmente rinfrescata, l’umidità è scesa ed è un sollievo sentire il vento sulla pelle dopo una giornata di caldo rovente passata in uniforme a maniche lunghe. So che mi devo muovere se voglio raggiungere gli altri, ma voglio rimanere qui ancora un po’, ad assaporare questo momento di tranquillità, voglio essere invisibile e il balcone buio mi è complice.
Quando ero più piccola ero convinta di potermi sentire a casa ovunque e allo stesso tempo da nessuna parte. L’idea di radici mi opprimeva al solo pensiero. Mi ricordo quando Kelvin mi “ha presentato” a questa costa nel 2007.Eravamo di passaggio. Avevo ancora le luci di Sydney negli occhi e l’ho trovata troppo calda, troppo lenta, troppo semplice. Ora sento che casa è dove sto bene con me. Il semplice mi va bene, ci sono già io a complicare le cose. Stasera su questo balcone con la brezza di mare e un panino mangiato a metà è possibile che questa sensazione così unica voglia dire che sono arrivata? Sono forse a casa?
Francesca Tondi