Simon Reynolds, Retromania. Musica, cultura pop e la nostra ossessione per il passato, Isbn edizioni (2011), pp. XXXV-471, € 26.90
La fronte rivolta al passato, le spalle al futuro: è il verso di marcia che ormai comunemente accettiamo come idea di progresso – se non altro perché possiamo guardare solo ciò che ha forma concreta davanti ai nostri occhi. Ma non è che negli evocatissimi (come unità storica ancora tutta da definire) anni Zero ci si siano inchiodati i talloni e ci siamo lasciati, pigrissimi, trasportare da un comodo tapis-roulant, incapaci di guardarci per un attimo alle spalle (cioè avanti...), nella pura contemplazione del passato? È la domanda che si pone Simon Reynolds, critico musicale discendente di una bella schiatta di fanatici scribacchini rock con il bernoccolo di una preparazione ad ampio spettro. Retromania, il suo ultimo lavoro pubblicato in Italia da Isbn edizioni (bella la confezione del libro, come spesso succede con le pubblicazioni di "quelli del codice a barre"; un po' costoso il conto alla cassa, ma gli euro sono ben spesi), ci racconta qualcosa delle tendenze degli ultimi anni, tempi dediti con fervore al riciclo (qualsiasi cosa, anche le schifezze). E lo fa prendendola alla larga: innanzitutto, di che cosa parliamo quando parliamo di vintage? E di nostlagia? Sono domande che fanno centro nel bersaglio, specie se rilanciate in un Paese come il nostro che si è davvero ammalato di mania del recupero e del "com'eravamo". Ma questo capita più facilmente quando hai a che fare con una società ingessata stretta come un femore malandato, dove simili prodotti (della moda, della televisione, della musica, dell'editoria e via dicendo) sono rivolti all'unica fascia di veri consumatori massivi, gli adulti sopra gli -anta e i maturi andanti, persone che non hanno troppa voglia di incontrare il nuovo, ma che preferiscono l'usato sicuro, magari riverniciato fresco.
Com'è possibile, però, che questa malattia dell'eterno ritorno del già visto/sentito si sia impadronita del mondo che più di tutti nel secolo scorso ha sprizzato energia da tutti i pori? La musica pop era il laboratorio dove trovavano sfogo tutte le istanze sociali, politiche, artistiche che attraversavano le generazioni più giovani, e contribuivano a costruire (nel bene e nel male) una coscienza collettiva. Com'è possibile, allora, si chiede Reynolds, che gli adolescenti e i giovanotti degli anni Zero si siano trovati a riciclare inconsapevolmente o a vagheggiare (i più preparati) epoche nelle quali non erano ancora stati progettati.
Esiste il rischio di un avvitamento con corto-circuito culturale: Retromania testimonia della nascita di culti del ritorno che riguardano persino epoche vicinissime (gli anni Novanta!). Ma chiunque abbia visto un cane che si morde la coda sa che questa è una situazione di stallo, dalla quale si esce frastornati, e con un gran mal di testa. Vero che da sempre si riutilizzano i repertori del passato, ma più o meno funzionava così: prendo il passato che venero, ma lo supero rompendone le convenzioni. Oggi rimangono molto collezionismo, e una certa isteria. Che sono il contrario dell'emancipazione, dell'immaginare una nuova libertà espressiva, del "lasciare la casa del padre". Come disse una volta la buon anima di Winston Churchill: "Mostratemi un vecchio liberale e vi mostrerò qualcuno senza cervello; mostratemi un giovane conservatore e vi mostrerò qualcuno senza cuore".
Marco Bini