11 Gennaio, 2014
Categoria: Cultura e spettacolo
Teatro Ermanno Fabbri Vignola
11/01/2014, ore 20:30
di Marco Martinelli
Teatro delle Albe
ideazione Marco Martinelli e Ermanna Montanari
con Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Ermanna Montanari, Francesco Mormino, Laura Redaelli
in video Pino Roncucci
fisarmonica e composizione musiche Simone Zanchini
cante romagnole Michela Marangoni, Laura Redaelli
Il ravennate Teatro delle Albe diretto da Marco Martinelli porta in scena il mito Marco Pantani, un omaggio al grande ciclista romagnolo a poco meno di 10 anni dalla sua scomparsa.
14 febbraio 2004: Marco Pantani viene ritrovato senza vita in un residence di Rimini. Aveva appena compiuto 34 anni. Dopo i trionfi al Giro d’Italia e al Tour de France, nell’anno 1998, le accuse di doping a Madonna di Campiglio, rivelatesi poi infondate, lo hanno condotto ad un lento ma inevitabile crollo psicologico fino a una morte forse tragicamente annunciata. Tra il campione adulato, icona di chi ha fatto rinascere il ciclismo come sport dell’impresa e della fantasia, e il morto di Rimini, che giaceva in mezzo alla cocaina nei panni di un vagabondo, vi è tutta la complessità di un’epoca al tempo stesso sublime e crudele che ci si presenta senza pudore e vergogna. Dopo Rumore di acque capace di trasfigurare in grottesca e malinconica poesia la cronaca tragica dei barconi alla deriva nel Mediterraneo, con Pantani il regista Marco Martinelli indaga sulle dinamiche e gli equilibri della società di massa che chiede sacrifici e capri espiatori: attorno alle figure di Tonina e Paolo, i genitori di Marco che ancora oggi stanno chiedendo giustizia per la memoria infangata del figlio, Martinelli mette in scena una veglia funebre e onirica, affollata di personaggi che come un rito antico ripercorre le imprese luminose dell’eroe. I genitori di Marco, figure archetipiche di una Romagna anarchica e carnale, sono sospese come l’Antigone di Sofocle davanti al cadavere insepolto dell’amato: cercano verità e non avranno pace finché non l’avranno ottenuta. “Non lo so quello che è successo a Madonna di Campiglio, ma scoprirò la verità. Pagherò se c’è bisogno, ma lo verrò a sapere, perché è là che gli è piombata addosso la vergogna, e di quello è morto”. (Tonina Belletti)
Pantani è uno spettacolo che ti aggredisce, ti indigna, tenta di spiegare un mondo eccessivamente appassionato, schiavo dei media e feticista nei confronti dei suoi miti: miti che è in grado di elevare e distruggere un secondo dopo, senza pietà, nella delusione più totale. Lo spettacolo del regista emiliano non è che un’indagine sulle responsabilità accorse alla tragica morte di un uomo. L’eroe, Marco Pantani da Cesenatico, ciclista, maglia rosa al Giro e maglia gialla al Tour, – l’ultimo ciclista italiano ad aver vinto entrambe le gare era stato Felice Gimondi nel 1965 – ,accusato di doping e morto di disperazione in un grigio febbraio riminese, non appare mai in scena, ad indicare, forse, l’astensione di giudizio rispetto alla storia, alla propria storia. La prima parte dello spettacolo ricostruisce l’ascesa, difficile, di Marco; la seconda la caduta, con l’esclusione dal Giro, praticamente vinto, del 1999, come un criminale, per ematocrito alto e accusa, poi caduta, dopo processi farseschi con medici molièriani, di uso di sostanze dopanti (Epo). Rievoca i successivi tentativi di riprendere quota e gli ulteriori precipizi, fino alla cocaina, fino alle nebbie, al ghiaccio dell’anima di quella fine piena di ombre, a Rimini, nel 2004.
Il testo costruisce attorno a questo anelito di giustizia un affresco sull’Italia degli ultimi trent’anni, l’enigma di una società malata di delirio televisivo e mediatico, affannata a creare dal nulla e distruggere quotidianamente i suoi divi di plastica, ma anche capace di mettere alla gogna i suoi eroi di carne, veri, come Marco Pantani da Cesenatico, lo scalatore che veniva dal mare. Il teatro sembra ritrovare, in questo spettacolo del Teatro delle Albe, le sue capacità di fascinazione affabulatoria e di discussione alta di problemi della società, una funzione immaginativa e una “politica”, di interrogazione sui conflitti, sui delitti e soprattutto sul rimosso della vita associata.
fonte: emiliaromagnateatro